Triangolo pericoloso: le aziende cinesi in Messico nell'era Trump
Un viaggio nel cuore dell'esodo industriale cinese in Messico, dove migliaia di aziende hanno cercato rifugio dai dazi americani per ritrovarsi presto in una trappola economica imprevista
Il sogno messicano e il brusco risveglio
Dal 2018, quando l'amministrazione Trump ha imposto la prima ondata di dazi sulle importazioni cinesi, si è verificata una massiccia migrazione di capitale industriale cinese verso il Messico, dando vita a un fenomeno economico senza precedenti nell'economia nord-americana. Le aziende cinesi hanno individuato nel territorio messicano non solo un rifugio dalle barriere tariffarie, ma una piattaforma strategica ideale per mantenere l'accesso al mercato statunitense grazie all'accordo USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement). Questo accordo, paradossalmente negoziato proprio dall'amministrazione Trump per sostituire il NAFTA, ha involontariamente creato un meccanismo che ha permesso alle merci di origine cinese di continuare a fluire verso gli Stati Uniti, semplicemente spostando parte della produzione o dell'assemblaggio finale in territorio messicano. I dati parlano chiaro: secondo un sondaggio condotto da BBVA, il maggiore istituto bancario commerciale del Messico, sulle associazioni dei parchi industriali, le aziende cinesi sono state responsabili del 6% degli investimenti nel paese tra il 2018 e il 2022. Considerando il rapido afflusso di aziende cinesi a partire dal 2022, si stima che alla fine del 2024 il numero complessivo di imprese cinesi in Messico abbia raggiunto quota 3.000, con una significativa concentrazione nell'area di Monterrey.
L'impatto di questa migrazione industriale ha trasformato radicalmente il panorama economico e demografico di intere regioni messicane. In piccole città come Rams, nei pressi di Monterrey, la popolazione è passata da 20.000 abitanti nel 2014 a 100.000 nel 2024, un aumento di 80.000 persone in soli dieci anni, alimentato direttamente dall'espansione industriale cinese. I parchi industriali come Hofusan e Huafushan, sviluppati da joint venture tra investitori locali e cinesi, hanno convertito vaste aree precedentemente dedicate all'allevamento e all'agricoltura in complessi produttivi all'avanguardia. Ad esempio, lo Hofusan Industrial Park, costruito su un ex ranch a circa 200 chilometri dal confine statunitense, ospita più di 20 aziende manifatturiere cinesi distribuite su un'area più grande del doppio di Central Park a New York, per un investimento complessivo di 1,5 miliardi di dollari dalla sua apertura nel 2018. In questi poli industriali, le bandiere della Repubblica Popolare Cinese sventolano accanto a quelle statunitensi e messicane all'ingresso degli stabilimenti, simboleggiando visivamente questa nuova configurazione geo-economica trilaterale che ha caratterizzato gli ultimi anni.
Tuttavia, questa rapida espansione industriale ha subito una brusca battuta d'arresto a partire dalla fine del 2024. Il 28 novembre 2024, il governo messicano ha improvvisamente inviato una squadra di forze dell'ordine per sigillare la "Yiwu Trade City" nel centro di Città del Messico, con l'accusa di combattere il contrabbando e la vendita di merci contraffatte. Questo enorme complesso commerciale, con una superficie di 100.000 metri quadrati e 18 piani, ospitava circa 1.500 negozi gestiti principalmente da commercianti cinesi. La portata e il peso dell'operazione sono stati resi ancora più evidenti dal coinvolgimento diretto della marina militare messicana e da un annuncio ufficiale del Ministro dell'Economia durante una conferenza stampa ufficiale, segnalando chiaramente la natura politica e non meramente amministrativa dell'intervento. Significativamente, questa azione è avvenuta il giorno dopo una telefonata tra il presidente eletto messicano Sheinbaum e il neo-rieletto presidente americano Trump, in cui si sono discusse questioni commerciali, evidenziando il legame diretto tra le dinamiche geopolitiche e l'atteggiamento verso gli investitori cinesi.
Questa evoluzione si inserisce in un contesto più ampio di riconfigurazione delle relazioni commerciali globali innescato dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. Le sue misure non colpiscono solo direttamente i prodotti fabbricati in Cina, ma minacciano l'intero modello di business su cui migliaia di aziende cinesi avevano costruito la loro strategia messicana, poiché l'amministrazione Trump sta chiaramente cercando di chiudere quella che considera una falla nell'accordo commerciale USMCA.
I dati economici evidenziano l'importanza strategica di questa triangolazione commerciale. Gli investimenti cinesi hanno creato quasi 135.000 posti di lavoro in Messico negli ultimi quattro anni, secondo il Centro per gli Studi Cina-Messico dell'Università Nazionale Autonoma del Messico. Questo flusso di investimenti ha contribuito significativamente a fare sì che il Messico superasse la Cina come principale partner commerciale degli Stati Uniti nel 2023, con scambi bilaterali vicini agli 800 miliardi di dollari, saliti a 840 miliardi nel 2024. Questi numeri evidenziano non solo la scala del fenomeno, ma anche la sua rilevanza strategica per tutte le economie coinvolte, spiegando perché il tema sia diventato un punto focale nelle relazioni trilaterali tra Stati Uniti, Cina e Messico.
Le conseguenze di questo scontro commerciale sono multidimensionali e vanno ben oltre le mere statistiche economiche. Da un lato, il governo messicano si trova sotto crescente pressione da parte dell'amministrazione Trump per dimostrare di poter sottoporre a controlli gli investimenti cinesi e garantire il rispetto delle regole di origine previste dall'accordo USMCA. Sono già emerse le prime concessioni: il Messico ha bloccato i piani del produttore cinese di veicoli elettrici BYD che prevedevano l’apertura di una fabbrica nel paese, temendo che una tale mossa potesse irritare Trump. D'altro canto, le aziende cinesi si trovano di fronte a un dilemma strategico: adattarsi a un ambiente sempre più ostile, con costi operativi crescenti e margini di profitto in diminuzione, oppure cercare alternative, ricollocando nuovamente la produzione in altri paesi o regioni meno esposte alle tensioni commerciali sino-americane. Questo processo di adattamento o abbandono sta già ridisegnando le catene di approvvigionamento globali, con implicazioni significative non solo per le relazioni economiche regionali, ma per l'intero sistema commerciale internazionale. Il caso messicano diventa così un laboratorio privilegiato per osservare come le guerre commerciali tra grandi potenze si materializzino sul terreno, trasformando geografie economiche e ridefinendo le regole del gioco del capitalismo globale.
Come è nata e si è sviluppata la migrazione industriale
La migrazione delle aziende cinesi verso il Messico rappresenta un caso di studio emblematico di come le politiche commerciali possano rimodellare drasticamente i flussi di investimento globali e le configurazioni industriali transnazionali. Tale migrazione ha avuto inizio come risposta diretta alla guerra commerciale lanciata dall'amministrazione Trump nel 2018, quando l'imposizione di dazi del 20% sui prodotti cinesi ha alterato radicalmente gli equilibri di convenienza economica che avevano fino ad allora guidato le scelte localizzative delle imprese manifatturiere. Il Messico si è trovato improvvisamente in una posizione di vantaggio strategico unico: geograficamente adiacente agli Stati Uniti, membro dell'accordo USMCA (che garantiva accesso duty-free al mercato statunitense), con costi del lavoro relativamente contenuti e un'infrastruttura industriale già sviluppata. Questa convergenza di fattori ha innescato un effetto a catena, con le prime grandi aziende cinesi – tra cui Haier e BYD – che hanno stabilito operazioni nel paese, attirando a loro volta fornitori e subfornitori, in un classico esempio di clustering industriale. Significativamente, questa migrazione non si è limitata alle grandi corporation, ma ha coinvolto una miriade di piccole e medie imprese, sia tradizionali esportatori sia nuovi attori del commercio elettronico transfrontaliero. I settori maggiormente interessati sono stati l'elettronica di consumo, i componenti automobilistici, gli elettrodomestici, il mobile, il tessile e l'abbigliamento – tutti comparti caratterizzati da catene del valore globali particolarmente sensibili alle variazioni dei costi di transazione internazionali e ai differenziali daziari.
La distribuzione geografica di questa migrazione industriale all'interno del Messico rivela una chiara logica economica e strategica. Tre principali hub hanno catalizzato la maggior parte degli investimenti cinesi: Monterrey, capitale dello stato di Nuevo León, situata a circa 200 km dal confine statunitense, è emersa come il principale polo di attrazione, grazie alla sua robusta tradizione industriale, alle eccellenti infrastrutture e alla vicinanza al mercato americano. Secondo i dati di Invest Monterrey, un'organizzazione non governativa di Nuevo León, a partire dal 2022 circa 1.300 aziende cinesi avevano investito nell'area di Monterrey, con una concentrazione significativa nel settore manifatturiero. Il secondo polo è rappresentato da San Luis Potosi, situato strategicamente nel triangolo automobilistico messicano insieme a Querétaro e León, che ha visto una crescita esponenziale della presenza cinese, passando da otto aziende nel 2022 a oltre trenta nel 2024. Il terzo polo significativo è costituito dalla fascia di frontiera settentrionale, in particolare dalla città di Tijuana, a meno di 20 chilometri da San Diego, che funge da importante porta d'accesso al mercato statunitense occidentale. Questo modello di distribuzione spaziale riflette un approccio sistematico all'ottimizzazione della logistica, con investimenti strategicamente posizionati per minimizzare i tempi e i costi di trasporto verso gli Stati Uniti, massimizzando al contempo l'accesso alle infrastrutture esistenti e ai bacini di manodopera qualificata.
L'intensità e la rapidità di questa migrazione industriale hanno generato profonde trasformazioni strutturali nell'economia messicana. A livello macroeconomico, gli investimenti cinesi hanno contribuito significativamente all'espansione della base produttiva del paese, stimolando le esportazioni e creando occupazione. Le statistiche indicano che gli investimenti diretti cinesi in Messico sono aumentati da 159 milioni di dollari nel 2018 a oltre 2,4 miliardi di dollari nel 2023, rendendo la Cina la quarta fonte di investimenti esteri nel paese. Più significativo ancora è l'effetto moltiplicatore di questi investimenti: ogni stabilimento produttivo cinese ha generato un indotto di fornitori, servizi logistici, società di consulenza e altre attività ancillari, amplificando l'impatto economico complessivo. I parchi industriali come Hofusan e Huafushan hanno assunto le caratteristiche di vere e proprie enclavi economiche cinesi in territorio messicano, con una concentrazione di aziende, servizi e personale espatriato che ha creato microcosmi culturali e commerciali distintivi. In questi complessi, oltre agli stabilimenti produttivi, sono sorte strutture di supporto come ristoranti cinesi, complessi residenziali per manager espatriati, e servizi specializzati orientati alle esigenze specifiche della comunità imprenditoriale cinese. Questa concentrazione ha generato economie di agglomerazione significative, rendendo queste aree particolarmente coese e autosufficienti dal punto di vista economico, e creando al contempo le condizioni per una progressiva intensificazione degli investimenti, almeno fino al recente cambiamento nelle politiche commerciali statunitensi e nell'atteggiamento del governo messicano verso gli investitori cinesi.
La vita quotidiana dell'imprenditore cinese in Messico
La gestione delle operazioni industriali in Messico ha posto le aziende cinesi di fronte a profonde sfide culturali e operative che vanno ben oltre le considerazioni economiche e tariffarie. Il divario tra i modelli organizzativi cinesi e le pratiche lavorative messicane emerge come uno degli ostacoli più significativi al pieno successo dell'espansione industriale. L'approccio intensivo al lavoro che caratterizza l'industria cinese – con orari prolungati, elevata disciplina produttiva e forte orientamento all'efficienza – si scontra frontalmente con una cultura lavorativa messicana caratterizzata da maggiore flessibilità, un equilibrio più marcato tra vita professionale e personale, e un grado maggiore di tutela dei diritti dei lavoratori. Questa divergenza si manifesta in molteplici aspetti della gestione quotidiana: dal tasso di assenteismo considerato fisiologico nel contesto messicano ma problematico secondo gli standard cinesi, alla riluttanza dei lavoratori locali a fare straordinari, fino alle aspettative radicalmente diverse riguardo ai ritmi produttivi. Le statistiche sull'elevato turnover della manodopera – che in alcuni casi raggiunge il 10% giornaliero – illustrano la gravità di questa incompatibilità culturale. Il sistema retributivo settimanale in vigore in Messico, che differisce significativamente dalla prassi mensile cinese, contribuisce ulteriormente a questa instabilità occupazionale: molti lavoratori, dopo aver ricevuto lo stipendio del venerdì, non si presentano al lavoro il lunedì successivo, creando discontinuità operative che complicano significativamente la pianificazione della produzione. Particolarmente critico è il periodo precedente al Natale, quando la contrattazione per i salari dell'anno successivo e il pagamento dei bonus stagionali portano tipicamente a un esodo del 20% della forza lavoro, che sceglie di cambiare impiego o prendersi una pausa prolungata.
Il rapporto con i sindacati rappresenta un'ulteriore dimensione di complessità per i manager cinesi, abituati a un contesto nazionale caratterizzato da organizzazioni del lavoro controllate dallo stato e generalmente allineate con gli obiettivi di produttività aziendale. In Messico, i sindacati esercitano un'influenza significativa e possono intervenire nella gestione quotidiana anche in risposta a conflitti apparentemente minori. Queste frizioni sono accentuate dalle barriere linguistiche: la maggior parte dei manager cinesi di medio livello ha una conoscenza limitata dello spagnolo o dell'inglese, rendendo necessario l'impiego di traduttori che inevitabilmente filtrano e potenzialmente distorcono le comunicazioni, aggiungendo un ulteriore strato di complessità alla gestione delle risorse umane. La situazione è ulteriormente complicata dalle normative messicane sul lavoro, che dal 2021 hanno vietato l'utilizzo di manodopera in somministrazione (dispatched labor), costringendo le aziende a reclutare direttamente il personale. Questa limitazione ha avuto un impatto particolarmente pesante sui settori caratterizzati da produzione ciclica, come l'elettronica di consumo, aumentando significativamente il carico amministrativo e i costi fissi del personale rispetto al contesto cinese, dove le aziende di servizi di manodopera in outsourcing offrono maggiore flessibilità. Le aziende cinesi hanno dovuto sviluppare strategie adattive per navigare questo ambiente: dall'istituzione di servizi di navetta per dipendenti che percorrono fino a 60 chilometri (con viaggi di due ore) per ampliare il bacino di reclutamento, all'adozione di politiche retributive più competitive e programmi di fidelizzazione per ridurre il turnover, fino alla progressiva "messicoanizzazione" degli stili manageriali, con una maggiore tolleranza verso pratiche locali come l'ascolto di musica durante il lavoro. Questo processo di adattamento cross-culturale si è rivelato tanto essenziale quanto dispendioso, costituendo un costo nascosto significativo nell'equazione economica complessiva dell'espansione industriale cinese in Messico.
Il miraggio dei costi bassi: la realtà economica delle operazioni in Messico
La decisione di trasferire le operazioni produttive in Messico è stata inizialmente guidata da un calcolo economico apparentemente solido: evitare i dazi statunitensi mantenendo al contempo costi operativi competitivi. Tuttavia, una volta stabilite nel territorio messicano, le aziende cinesi hanno rapidamente scoperto che la realtà economica divergeva significativamente dalle proiezioni iniziali, rivelando un complesso panorama di costi nascosti ed inefficienze strutturali che hanno eroso i margini di profitto previsti. I costi dell'energia elettrica, dell'acqua industriale e degli immobili si sono rivelati significativamente più elevati rispetto alla Cina, con differenziali che vanno dal doppio fino a sette volte i valori di riferimento cinesi. Particolarmente significativo è stato il cosiddetto "effetto Tesla", un fenomeno speculativo innescato dall'annuncio di Tesla nel febbraio 2023 dell’intenzione di costruire una gigafactory vicino a Monterrey. Sebbene il progetto sia successivamente rientrato, l'annuncio ha provocato un aumento del 30% degli affitti nell'arco di un mese, trascinando al rialzo anche costi correlati come salari e prezzi al consumo. Le aziende cinesi hanno dovuto affrontare anche spese impreviste come il noleggio di generatori a causa delle carenze energetiche (con costi aggiuntivi fino a $57.000 mensili) o l'allestimento di servizi di navetta per i dipendenti ($7.000 mensili), voci completamente assenti dai budget iniziali.
La dinamica dei costi del lavoro si è rivelata particolarmente volatile e difficile da gestire. Nella città di frontiera di Tijuana, i salari giornalieri dei lavoratori locali sono raddoppiati tra il 2019 e il 2024, un incremento che rappresenta un aumento di cinque volte rispetto ai livelli del 2016. La struttura salariale del mercato messicano è caratterizzata da differenziali retributivi molto pronunciati tra livelli gerarchici: supervisori e capi reparto guadagnano tipicamente tre volte di più rispetto agli omologhi in Cina, mentre i direttori operativi messicani possono raggiungere compensi fino a $285,000, creando significative pressioni sui budget del personale. Mentre il salario diretto di un operaio ordinario si aggira intorno ai $850, il costo complessivo per l'azienda supera i $1,400, a causa degli oneri sociali e dei benefit obbligatori. La combinazione di questi fattori con l'elevato turnover ha portato molte aziende cinesi a riconsiderare il presupposto fondamentale che aveva guidato la loro espansione: l'idea che il Messico rappresentasse un bacino di manodopera a basso costo. Il Messico può rappresentare una "creazione di valore" ma certamente non un "abbattimento dei costi", una distinzione sottile ma cruciale che molte aziende hanno compreso solo dopo significativi investimenti, spingendole a ripensare le proprie strategie attraverso l'automazione dei processi o l'ulteriore diversificazione geografica delle loro catene di approvvigionamento.
La nuova geografia delle catene di fornitura globali delle aziende cinesi
L'incertezza generata dalle crescenti tensioni commerciali e dalle politiche tariffarie sempre più aggressive ha innescato una profonda riformulazione delle strategie di approvvigionamento globale da parte delle aziende cinesi. Questa riconfigurazione segue modelli settoriali distintivi: l'assemblaggio elettronico si sta spostando prevalentemente verso il Sud-est asiatico, la produzione tessile e di abbigliamento si sta diffondendo tra Asia meridionale e Africa, mentre l'assemblaggio automobilistico e la produzione di batterie stanno trovando nuove basi in Nord America. L'analisi delle dichiarazioni pubbliche di circa venti aziende leader in diversi settori rivela una chiara tendenza alla diversificazione geografica della produzione. Anker Innovations, nato come operatore di e-commerce transfrontaliero, ha dichiarato a marzo 2025 di aver "dispiegato capacità produttive dei fornitori in patria e all'estero" in risposta alle modifiche delle politiche dei dazi. Similmente, Zhiou Technology ha annunciato l'intenzione di "aumentare ulteriormente il trasferimento della catena di fornitura nel Sud-est asiatico" come iniziativa strategica per il secondo semestre del 2024. Nel settore degli elettrodomestici intelligenti, Dreame Technology ha riferito di possedere stabilimenti in Sud-est asiatico e Messico, con preparativi in corso per la produzione localizzata negli Stati Uniti e piani futuri per fabbriche in Medio Oriente e Africa. Ecovacs ha rivelato che coordinerà le catene di fornitura all'estero "secondo necessità" per ridurre l'impatto dell'aumento delle tariffe, mentre Roborock Technology ha già predisposto accordi con fabbriche OEM in Vietnam. Altri casi emblematici includono XGIMI Technology, che ha investito $13 milioni per costruire una base produttiva di proiettori in Vietnam, e Giant Star Technology, che ha dichiarato che la propria capacità produttiva in Tailandia, Vietnam e Cambogia "è stata messa in funzione e coprirà gradualmente l'attività di esportazione negli Stati Uniti".
Questa diversificazione geografica delle catene di fornitura risponde a calcoli strategici complessi che bilanciano molteplici fattori: condizioni locali (infrastrutture, costi dei fattori produttivi, vantaggi dei cluster industriali), politiche fiscali e commerciali (in particolare i dazi statunitensi sulle importazioni dai vari paesi), e distanza geografica dalle destinazioni di esportazione. Il Sud-est asiatico emerge come destinazione privilegiata grazie alla sua struttura demografica giovane, alla rapida crescita economica e ai costi produttivi relativamente contenuti, mentre il Messico mantiene il vantaggio della prossimità geografica agli Stati Uniti, di infrastrutture migliori e di un bacino di talenti consolidato per specifici settori industriali. L'analisi del campione di aziende indica che il Vietnam è la destinazione più popolare, con almeno la metà delle imprese analizzate che vi ha investito, seguito da Tailandia e Cambogia. Tuttavia, il nuovo piano di imposizione di dazi "reciproci" annunciato dall'amministrazione Trump ad aprile 2025 rischia di alterare nuovamente questa configurazione, imponendo tariffe relativamente più elevate su molti paesi del Sud-est asiatico (46% per il Vietnam, 36% per la Tailandia, 32% per l'Indonesia, 24% per la Malesia, 49% per la Cambogia e 10% per Singapore). Questa ulteriore complicazione sta spingendo alcune aziende a considerare un'intensificazione della produzione sul territorio nazionale cinese, sfruttando la maggiore capacità di adattamento interno e l'efficienza della catena di fornitura, mentre altre stanno esplorando nuove frontiere produttive in Africa, America Latina e Medio Oriente, dove le aliquote doganali statunitensi sono generalmente inferiori a quelle del Sud-est asiatico. Questa evoluzione illustra come le catene di fornitura globali siano diventate strumenti di adattamento strategico in un contesto geopolitico sempre più frammentato, con aziende che cercano di bilanciare la minimizzazione dei costi, la mitigazione dei rischi politici e l'accesso ai mercati in un panorama caratterizzato da crescente incertezza e volatilità.
La reazione messicana e le pressioni americane
L'atteggiamento del governo messicano verso gli investitori cinesi ha subito un drastico cambiamento nel contesto della rinnovata guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Dal 2018 al 2023, come abbiamo visto, il Messico aveva adottato un approccio sostanzialmente accogliente verso gli investimenti provenienti dalla Cina, vedendoli come un'opportunità per accelerare l'industrializzazione, creare occupazione e aumentare le esportazioni verso il mercato statunitense. Tuttavia, la rielezione di Trump e le successive adozioni di dazi reciproci hanno rapidamente trasformato questa apertura in cautela e, in alcuni casi, in aperta ostilità. L'azione contro il "Yiwu Trade City" a Città del Messico nel novembre 2024 è stata solo la manifestazione più visibile di un riallineamento strategico più ampio. Le autorità messicane hanno intensificato i controlli su importazioni, certificati di origine e contenuto locale nelle esportazioni, prestando particolare attenzione alle aziende cinesi. Questo cambiamento di rotta riflette un calcolo pragmatico: per il Messico, preservare l'accesso privilegiato al mercato statunitense attraverso l'accordo USMCA è prioritario rispetto ai agli investimenti cinesi, considerando che gli Stati Uniti assorbono circa l'80% delle esportazioni messicane.
I negoziati per il rinnovo del già citato accordo commerciale USMCA, se sopravviverà alle attuali tensioni, dovrebbero iniziare a breve, con gli Stati Uniti che spingono per restrizioni più severe sugli investimenti cinesi. Una delle concessioni prospettate dal Messico durante le trattative preliminari riguarda la possibilità di allinearsi agli Stati Uniti sull'imposizione di dazi sui prodotti cinesi, una mossa che colpirebbe duramente le aziende cinesi operanti in Messico, le quali importano quasi tutta la loro attrezzatura industriale e i componenti sofisticati dalla madrepatria. Funzionari messicani hanno cercato di bilanciare queste pressioni sottolineando che "la priorità è data al commercio con i paesi con cui abbiamo accordi commerciali", come dichiarato dalla Presidente messicana Claudia Sheinbaum nel marzo 2025, pur osservando che molti più investimenti cinesi sono diretti verso Stati Uniti e Canada che verso il Messico. Questo delicato equilibrio diplomatico riflette la complessa posizione del Messico, intrappolato tra la dipendenza economica dagli Stati Uniti e il desiderio di mantenere relazioni produttive con la Cina, in un contesto globale sempre più polarizzato.
Prospettive future: adattamento o abbandono?
Di fronte all'inasprimento dell'ambiente commerciale, gli imprenditori cinesi in Messico si trovano a un bivio strategico che impone scelte drastiche. Le reazioni alla nuova realtà geopolitica si stanno manifestando lungo uno spettro che va dall'adattamento resiliente all'abbandono completo. Nei gruppi di chat online dove si riuniscono i commercianti cinesi, compaiono sempre più frequentemente annunci di cessione di attività e richieste di locali in affitto. La segmentazione delle risposte alla situazione riflette in larga misura le dimensioni e la struttura delle aziende: i grandi gruppi industriali con investimenti significativi in stabilimenti produttivi tendono ad adottare un approccio adattivo, modificando i processi produttivi per aumentare il contenuto locale e soddisfare le regole di origine più severe, diversificando i mercati di destinazione oltre gli Stati Uniti, o riorientando la produzione verso beni non soggetti alle tariffe più elevate. Viceversa, i piccoli commercianti e gli importatori con minore capitale fisso dimostrano maggiore mobilità, spostando rapidamente le operazioni verso paesi con minori restrizioni o addirittura rientrando in Cina. Una terza categoria adotta un approccio attendista, sospendendo temporaneamente gli investimenti e le espansioni pianificate mentre valuta l'evoluzione del quadro normativo. Alcune aziende hanno sviluppato strategie creative di sopravvivenza: dalla creazione di documenti che "provano" l'origine non cinese delle merci, al trasferimento di magazzini in aree remote meno soggette a controlli, fino alla diversificazione delle catene di fornitura attraverso triangolazioni complesse che mascherano l'origine cinese dei componenti.
Sul piano macroeconomico, le conseguenze del riorientamento strategico si estenderanno ben oltre le singole aziende, ridisegnando l'architettura delle relazioni commerciali globali. La contrazione degli investimenti cinesi in Messico potrebbe rallentare significativamente la crescita economica in regioni che hanno beneficiato fortemente di questo afflusso di capitale, generando disoccupazione e potenzialmente invertendo i flussi migratori che finora avevano visto un movimento di popolazione verso i centri industriali. Per il governo messicano, si profila il rischio di una rinnovata dipendenza dagli Stati Uniti, con minore potere contrattuale nelle negoziazioni commerciali. Per la Cina, la chiusura della "porta messicana" verso il mercato statunitense potrebbe accelerare il processo di focalizzazione sui mercati emergenti in Asia, Africa e America Latina. Per gli Stati Uniti, il successo nel chiudere questa "falla" nella politica dei dazi potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi al consumo e in interruzioni nelle catene di approvvigionamento, con potenziali effetti negativi sull'inflazione.
Fonti principali:
“林雪萍:中国企业出海墨西哥,发展情况如何?”[Lin Xueping: Come stanno andando le aziende cinesi in Messico?"], Guancha, https://www.guancha.cn/linxueping/2025_04_14_772011.shtml
"特朗普威胁下,逃离的墨⻄哥华商们" [I commercianti cinesi in fuga dal Messico sotto la minaccia di Trump], 36Kr Overseas, https://letschuhai.com/9abae136?utm_source=36kr&weekly140
"从越南⼯⼚到墨⻄哥仓库,中国出海企业的供应链外迁图谱" [Dalla fabbrica vietnamita al magazzino messicano, la mappa della migrazione della catena di approvvigionamento delle aziende cinesi all'estero], 36Kr Overseas, https://letschuhai.com/af95b852
"China's Tariff-Dodging Move to Mexico Looks Doomed", The Wall Street Journal, https://www.wsj.com/economy/trade/china-mexico-factory-moves-trump-tariffs-f136250e