Il domino coreano: cinque mesi, tre presidenti e un'elezione nel caos
La Corea del Sud attraversa una delle crisi politiche più gravi della sua storia recente: tre presidenti ad interim in pochi mesi, elezioni incerte e tensioni geopolitiche
La spirale dell'instabilità istituzionale
La Corea del Sud sta attraversando uno dei periodi più travagliati della sua storia recente, con un collasso istituzionale che rivela le fragilità di un sistema politico solo apparentemente stabile. Tutto è comincia il 3 dicembre 2024, con il fallito tentativo colpo di stato da parte del presidente Yoon Suk-yeol. Questo gesto ha innescato una reazione a catena: impeachment parlamentare, sospensione di Yoon, suo arresto, rilascio improvviso e infine rimozione definitiva dalla carica con sentenza unanime della Corte Costituzionale il 3 aprile 2025. Si è così aperta una voragine istituzionale che ha visto alternarsi tre diversi presidenti ad interim in soli cinque mesi, con l'ultimo - il Ministro dell'Istruzione Lee Ju-ho - che in questi giorni si è ritrovato improvvisamente alla guida del paese senza alcuna esperienza in politica estera o commerciale.
La situazione attuale rappresenta il culmine di una lotta di potere tra l'esecutivo e il legislativo, con il Partito Democratico che ha utilizzato la sua maggioranza parlamentare per mettere sotto scacco l'intero apparato governativo. Il partito di opposizione non si è fermato all'impeachment di Yoon, ma ha proseguito con l'impeachment del primo presidente ad interim Han Duck-soo (poi annullato dalla Corte Costituzionale) e ha tentato la stessa manovra con il Ministro delle Finanze Choi Sang-mok, spingendolo alle dimissioni. L'accanimento del Partito Democratico, culminato con l'ultimo tentativo di impeachment contro Choi subito dopo la sentenza della Corte Suprema contro il loro candidato presidenziale Lee Jae-myung, rivela come l'impeachment sia diventato un'arma politica piuttosto che uno strumento costituzionale di controllo. Il risultato è un governo allo sbando, incapace di gestire questioni cruciali come i negoziati sui dazi con gli Stati Uniti, a un mese dalle elezioni presidenziali del 3 giugno.
La corsa presidenziale tra incertezze giudiziarie e frammentazione conservatrice
Al centro del terremoto politico sudcoreano si trova Lee Jae-myung, candidato del Partito Democratico che, nonostante le sue vicissitudini giudiziarie, mantiene un solido vantaggio nei sondaggi con il 42% delle preferenze. Il 2 maggio la Corte Suprema ha però ribaltato una sentenza d'appello che lo aveva assolto, stabilendo la sua colpevolezza per aver diffuso informazioni false durante la campagna elettorale del 2022. Questa mossa, arrivata a un mese dalle elezioni e con una maggioranza schiacciante di dieci giudici su dodici, ha gettato ulteriori ombre sul processo elettorale. La corte ha rinviato il caso al tribunale di secondo grado per la determinazione della pena, creando un paradosso giuridico-politico: se Lee riceverà una multa superiore a 1 milione di won (circa 699 dollari) o una condanna detentiva, sarà automaticamente escluso dalle cariche pubbliche per un periodo che va dai 5 ai 10 anni.
Sul fronte conservatore, la frammentazione appare irreversibile. L'ex Primo Ministro Han Duck-soo ha rassegnato le dimissioni da presidente ad interim per lanciare la propria candidatura presidenziale, promettendo un mandato ridotto di tre anni e una riforma costituzionale che allineerebbe le elezioni presidenziali e parlamentari nel 2028. Contemporaneamente, il Partito del Potere Popolare (PPP) si appresta a scegliere il proprio candidato tra l'ex ministro del Lavoro Kim Moon-soo e l'ex leader del partito Han Dong-hoon, con il sindaco di Seul, Oh Se-hoon, che mantiene una posizione ambigua. Questa dispersione di forze rischia di consegnare la vittoria ai democratici, nonostante le incertezze giudiziarie che circondano Lee. La situazione solleva interrogativi inquietanti: cosa accadrà se Lee vincerà le elezioni ma verrà poi condannato? La Costituzione sudcoreana stabilisce che il presidente "non può essere accusato di reati penali durante il suo mandato, eccetto per insurrezione o tradimento", ma non specifica cosa accada per i processi avviati prima dell'elezione, lasciando alla Corte Costituzionale un potere interpretativo potenzialmente destabilizzante per il futuro del paese.
Le implicazioni economiche e geopolitiche della crisi
La paralisi istituzionale sudcoreana si manifesta in un momento particolarmente delicato per la quarta economia asiatica, già alle prese con una contrazione dello 0,3% nel primo trimestre del 2025 e con previsioni di crescita annuale ridotte all'1%. Le dimissioni improvvise del Ministro delle Finanze Choi Sang-mok, principale negoziatore nella guerra dei dazi con gli Stati Uniti, hanno creato un pericoloso vuoto proprio mentre Seul tentava di ottenere esenzioni dai dazi "reciproci" del 25% imposti dall'amministrazione Trump. Queste incertezze si sono tradotte in un immediato contraccolpo sui mercati finanziari: il Ministero delle finanze ha dovuto convocare una riunione d'emergenza con il governatore della Banca di Corea e i regolatori finanziari, nel tentativo di "minimizzare l'impatto negativo sui mercati " e "mantenere la credibilità presso gli investitori globali".
Sul fronte geopolitico, la potenziale vittoria di Lee Jae-myung preoccupa sia Tokyo che Washington. Durante la campagna elettorale, Lee ha definito la politica giapponese di Yoon come "umiliante e servile", criticando duramente l'accordo sui risarcimenti per il lavoro forzato in tempo di guerra e paragonando il rilascio dell'acqua trattata dalla centrale nucleare di Fukushima a una "seconda guerra del Pacifico". Un'eventuale presidenza Lee potrebbe riaccendere controversie storiche apparentemente sopite, come la questione delle "comfort women" (le oltre 200.000 donne, principalmente coreane, costrette alla schiavitù sessuale dall'esercito giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale) e la disputa territoriale sulla piccola isola di Takeshima/Dokdo, attualmente controllata da Seul ma rivendicata da Tokyo. Lee ha inoltre espresso scetticismo sulla cooperazione militare trilaterale tra Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, vedendo il maggiore coinvolgimento militare giapponese come un potenziale ritorno al militarismo imperiale. Questa posizione, unita alla sua apertura verso Pechino, potrebbe compromettere seriamente gli sforzi di Washington per contenere l'influenza cinese nella regione.
La questione nordcoreana rappresenta un ulteriore elemento di complessità. Lee potrebbe tentare di rilanciare una versione modernizzata della "Sunshine Policy" (la politica di cooperazione e dialogo con Pyongyang inaugurata dall’allora presidente Kim Dae-jung nel 1998), promuovendo il dialogo intercoreano attraverso riunioni familiari, aiuti umanitari e scambi culturali, oltre alla creazione di zone economiche speciali nella zona demilitarizzata. Questo approccio, tuttavia, deve confrontarsi con una Corea del Nord significativamente più potente dal punto di vista nucleare, con stime che suggeriscono un arsenale di circa novanta testate entro un prossimo futuro e nuove capacità navali dimostrate dal lancio del cacciatorpedinier di classe Choe Hyon da 5.000 tonnellate, progettato per trasportare missili balistici e da crociera a capacità nucleare. Lo stesso Lee, pur proponendo un ritorno al dialogo, ha riaffermato l'impegno "ferreo" con gli Stati Uniti e sostenuto un graduale ritorno del controllo operativo in tempo di guerra (OPCON) a Seul. Il difficile equilibrio tra deterrenza e distensione sarà una delle sfide più ardue per il prossimo presidente, chiunque esso sia.
Scenari futuri e implicazioni per il sistema sudcoreano
Le elezioni del 3 giugno rappresentano una prova cruciale per il sistema politico sudcoreano, con tre possibili scenari che si delineano all'orizzonte. Il primo, e più probabile secondo i sondaggi attuali, vede la vittoria di Lee Jae-myung nonostante le sue pendenze giudiziarie. Questo esito metterebbe alla prova i limiti costituzionali, costringendo la Corte Costituzionale a determinare se un presidente eletto possa continuare a essere processato per reati commessi prima dell'elezione. Il secondo scenario contempla la vittoria di un candidato conservatore, sia esso Han Duck-soo o l'eventuale candidato del PPP, che dovrebbe affrontare un'Assemblea Nazionale ostile dominata dal Partito Democratico, con conseguente paralisi legislativa. Il terzo scenario, il più destabilizzante, vedrebbe Lee vincere le elezioni ma essere dichiarato ineleggibile prima o subito dopo l'insediamento, precipitando il paese in una crisi costituzionale senza precedenti. In tutti i casi, il sistema dei pesi e contrappesi che dovrebbe garantire la stabilità istituzionale si è trasformato in un meccanismo di conflitto permanente.
I fatti recenti smascherano le contraddizioni di un modello politico elogiato per decenni come esempio di transizione riuscita verso un sistema rappresentativo. Il caso sudcoreano evidenzia come l'isolamento della magistratura dalla politica sia più teorico che reale: il tempismo della sentenza della Corte Suprema contro Lee, emessa a tempo di record in un mese invece dei consueti tre, solleva interrogativi sulla reale indipendenza del potere giudiziario (d’altronde, lo stesso ex presidente Yoon proveniva dalla magistratura). Dal caso emerge anche la fragilità di un presidenzialismo che concentra poteri eccessivi in un'unica figura, rendendo l'intero sistema vulnerabile quando tale figura viene rimossa. La proposta di Han Duck-soo di riformare la costituzione per prevedere mandati presidenziali di quattro anni rinnovabili, sincronizzati con le elezioni parlamentari, potrebbe rappresentare un passo verso un sistema più stabile, ma richiederebbe una maggioranza di due terzi nell'Assemblea Nazionale e un referendum nazionale - obiettivi difficilmente raggiungibili nell'attuale clima di polarizzazione.
La crisi sudcoreana dimostra infine come le strutture politiche possano collassare rapidamente quando le tensioni sottostanti superano una certa soglia. La sequenza di eventi iniziata con la dichiarazione della legge marziale ha riportato alla mente dei sudcoreani i traumi del passato autoritario, evidenziando quanto sia sottile il confine tra stabilità e caos. L'anno 2025 rimarrà nella storia del paese come un momento di svolta, che potrebbe portare a un rinnovamento dell’equilibrio istituzionale o a un ulteriore deterioramento della fiducia nelle istituzioni. Nel frattempo, la Corea del Sud resta ostaggio delle proprie contraddizioni interne, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti anche per gli equilibri regionali in un'Asia orientale sempre più tesa, tra la crescente assertività cinese, il maggiore protagonismo degli Usa, l'espansione militare giapponese e l'imprevedibilità nordcoreana.
Fonti utilizzate:
Korea Herald, Korea Times, JoongAng Daily, Hankyoreh, Bloomberg, The Japan Times, The New York Times, Nikkei Asia, The Straits Times, Eurasia Review